It is in Italian, maybe one day I'll translate it.
Avevo 16, 17 anni e come ho già raccontato frequentavo la scuola jazz di
quarto, sita nell'ex ottava divisione del dismesso ospedale
psichiatrico di Genova.
Non avendo né motorino né vespetta, mi recavo alle lezioni (ce n'erano tante, da musica d'insieme ad armonia funzionale, da corsi sulla realizzazione del basso numerato a lezioni individuali di piano, insomma ogni ben di dio a prezzo veramente modico) in autobus, partendo da casa dei miei genitori genitori a Marassi verso le 17,30 per iniziare le lezioni alle
18...e rientravo verso le 10, 10 e mezza di sera cercando di prendere
l'ultimo autobus che passava o facendomi a piedi una camminata di
un'oretta.
Bene, era una sera che prometteva tempesta, ma niente poteva trattenermi: avevo le prove del gruppo di rock alle tre di pomeriggio nello scantinato dell'asilo diretto dalla madre del bassista (questa é un'altra bella storia da raccontare) e meditavo di fare una tirata unica prove-scuola di jazz...inoltre ero innamorato e, per di più forse per la prima volta in vita mia anche corrisposto (peccato che la donzella abitasse a Bologna...)
Le prove si svolgono come al solito, con i due batteristi (sì, non ci facevamo mancare niente) che ci intronano come cammelli magrebini, col bassista che si lagna perché "i chitarristi si prendono tutta la visibilità e a me non resta niente", col cantante giù di voce e con le tastiere (rigorosamente analogiche) in tilt per la gelata notturna...ma anche con momenti di puro godimento nella scoperta dei primi suoni sintetici, delle prime canzoni che cominciano a prender forma, del piacere e dell'orgoglio far musica insieme.
Alle cinque e mezza smettiamo, esco per comprarmi un panino e mi dirigo verso la scuola che dista meno di cinque minuti dalla sala prove.
C'é un freddo da gelare le palle di una scimmia di ottone, il cielo é bianco latte e basso come se volesse unirsi alla terra, poche macchine si affrettano verso casa in un silenzio quasi surreale.
Resto un attimo fermo sul ciglio della strada, il panino mezzo infilato in bocca, gli occhi spalancati, il naso fremente alla ricerca di quell'odore, quel sentore umido e glaciale che prelude la nevicata perfetta...sì, la sento arrivare, i primi fiocchi bagnano il mio naso arrossato, turbinando come spiritelli alla luce dei lampioni appena accesi.
Una gioia folle mi invade, una gioia da bimbo e contemporaneamente da filosofo pazzo, la gioia che sempre mi ha preso alle prime avvisaglie di una nevicata, una gioia assoluta però già marchiata dalla coscienza della transitorietà, dell'effimera natura della neve...
Corro, corro come un invasato sputazzando bave di fiato gelido, ketchup e frammenti smozzicati di "groovin high", corro verso la scuola di jazz ove arrivo intirizzito e festante mentre la nevicata comincia a prendere vigore e consistenza quasi fosse un organismo vivo, cosciente, imperiosamente desideroso di tutto coprire, tutto conquistare e tutto far suo.
La tiepida calma delle lampadine giallastre dell'aula di musica d'insieme riescono alla bell'e meglio a calmare i miei astratti furori, i sogni indeterminati di un adolescente timido e introverso che sente crescere dentro se la paura di abbandonare l'infanzia e la curiosità di quella cosa misteriosa e terrificante che chiamano vita...Il mio insegnante di piano, Paolino Silvestri, mi dirà molti anni dopo che si ricordava ancora che quella sera suonai come un invasato, traendo da chissadove (io credo dal profondo delle mie paure e delle mie speranze, evocate dall'epifania bianca della neve) note e frasi struggenti, infuocate e dolcissime...note e frasi quasi fuori posto sotto le dita di un adolescente dalla bocca sporca di ketchup e bava congelata.
Alle otto di sera qualcuno ci dice che la neve é ormai alta mezzo metro,
che per strada é impossibile circolare, che la tormenta impazza senza
freni ammucchiando cumuli di neve contro le mura sbilenche di creuze e
viottoli: é la famigerata tramontana nera, il vento gelido ed umido che
viene da nord est cantando nenie ipnotiche che sanno di sonno e Siberia.
Mi fiondo al baretto che sta per chiudere, chiamo a casa. "Non posso
rientrare, siamo bloccati", dico a mia madre. Tronco sul nascere le sue
querimonie dicendo che dormirò da un amico che abita vicino alla scuola,
non voglio perdere per nulla al mondo questa opportunità di vivere una
parentesi onirica ritagliata tra una sera di tempesta ed un mattino
d'incertezza e, forse, di disillusione...una notte ove tutto é
possibile, ove la neve che tutto eguaglia, tutto copre e tutto ottunde,
forse farà tacere anche quel verme di melanconia che da sempre mi rode
dentro.
Rientro, tutti gli allievi ed i docenti si sono radunati nell'unica aula
ove faccia un po' di caldo, la famosa aula magna con lo Steinway di
Dado Moroni ove solitamente sono ammessi solo pochissimi eletti...e
comincia la jam session.
Senza che nessuno lo abbia deciso, senza che nessuno lo abbia
pianificato, comincia un blues in Bb che si protrarrà tutta la notte
senza interruzione, tra cambi di solisti, pianisti, batteristi e
bassisti, energie fresche che si buttano a corpo morto tra gorghi di
pentatoniche e blue notes, azzardando quasi timidamente le prime
escursioni tra cromatismi boppettari, mentre chi ha appena terminato il
tour de force di un assolo di 20 minuti si ritempra col naso attaccato
alla finestra gelida, rinfrescando le gote ardenti e l'animo in fiamme
nella contemplazione dei fiocchi che cadono implacabili turbinando
intorno al giallo dell'unico fanale che s'intravede sulla strada.
Tutto é colore primario, il rosso della passione, il bianco della neve,
il nero dell'oblio; non si pensa più, non si soffre più, non si ragiona
più, si suona e si suona, e se non si suona ci si fa ottundere la
coscienza dal gelo e dalla neve.
Ed é così fino alla mattina, fino alle prime luci che rischiarano una nevicata che pian piano va esaurendosi.
Sono fuori, mentre i più esaltati ancora continuano questo blues senza fine che nelle nostre anime esacerbate é ormai anche senza inizio, questo blues che é diventato il nostro suonare jazz, il nostro essere jazz...sono fuori ed arranco con la neve alle ginocchia, arranco verso casa piangendo perché la nevicata sta finendo, perché il blues sta finendo, perché l'innocenza sta finendo.
Grande ☃️❄️
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